Si chiama Sindrome del bambino scosso (Shaken Baby Syndrome – Sbs) ed è un fenomeno spesso ignorato dai genitori e sottovalutato dai pediatri. Eppure comporta esiti gravi per il neonato e per il suo futuro. Anche nota come ‘trauma cranico abusivo’, riguarda bambini di età inferiore ai 2 anni – in particolare di pochi mesi – e fa riferimento a una forma di maltrattamento fisico perpetrato generalmente in ambiente familiare. John Caffey – il medico che riscontrò per primo la Sbs nel 1946, per poi formalizzare la definizione nel 1972 – rilevò, in bambini scossi violentemente e ripetutamente per ovviare al loro pianto inconsolabile, l’emergere di un trauma sull’encefalo e di successivi danni neurologici.
Le cause
L’arrivo di un bambino porta gioia ed entusiasmo, ma anche una serie del tutto comprensibile di preoccupazioni e un notevole carico di stress. Fin dal suo ingresso nel mondo, fin dal primo vagito, il piccolo si rivela per quello che è: un essere indifeso che ha bisogno di cure costanti, di amore e grande attenzione, di una dose esorbitante di disponibilità da parte dei genitori – o di nonni, babysitter ed educatori – che lo devono nutrire, accudire, rassicurare, coccolare e proteggere. Diventare genitori può essere uno shock meraviglioso quanto dirompente, e serve tanta pazienza per assumersi questa responsabilità.
Una pazienza che certe esplosioni di pianto irrefrenabile possono mettere a dura prova. Capita allora che, per placare il piccolo urlante, mamma e papà, impotenti e spazientiti, agiscano su di lui con manovre consolatorie inappropriate, e spesso del tutto inconsapevoli, come lo scuotimento, dannoso anche se protratto solo per pochi secondi (nulla a che vedere, però, con il dondolio, anche insistito ma dolce, che abitualmente si utilizza per cullare il piccolo e favorirne la tranquillità e l’addormentamento).
Le conseguenze sul bambino
Nel neonato e nel bambino molto piccolo, i muscoli cervicali sono ancora fragili, non in grado di sostenere correttamente la testa. Uno scossone implica quindi che il cervello, muovendosi liberamente nel cranio, subisca un trauma, con ecchimosi, gonfiore e sanguinamento dei tessuti. Si tratta di lesioni gravissime, che implicano danni di ordine neuropsicologico: disturbi di apprendimento, attenzione, memoria e linguaggio, danni alla vista o cecità, disabilità uditive, paralisi cerebrale, epilessia, ritardo psicomotorio e mentale. Le conseguenze dipendono dalla gravità dell’abuso: si stima che solo nel 15% dei casi non ci siano ripercussioni sulla salute del bambino. In un quarto dei casi diagnosticati la Sbs porta al coma o alla morte. Quanto ai sintomi, si parla di vomito, inappetenza, difficoltà di suzione o deglutizione, irritabilità estrema, letargia, assenza di sorrisi o vocalizzi, rigidità, difficoltà respiratorie, eccesivo aumento della circonferenza cranica, cattivo controllo del capo, frequenti pianti inconsolabili e, nei casi più gravi, convulsioni, stati di incoscienza e arresto cardiorespiratorio.
Incidenza e fattori di rischio
Poiché la diagnosi è complessa e mancano dati epidemiologici certi a livello sia europeo che italiano, l’incidenza del fenomeno è difficile da stimare. Nel nostro paese, si presumono 3 casi ogni 10mila bambini con meno di un anno, ma potrebbero essere di più. Nel solo Ospedale Regina Margherita di Torino, nel 2017, si sono registrati 6 casi di Sbs. Il picco si riscontra tra le 2 settimane e i 6 mesi di vita, cioè quando maggiore (e più difficile da comprendere) è il pianto del neonato e minore è il controllo del capo. Stando ai dati diffusi dalla Società Italiana di Neonatologia, i principali fattori di rischio sono i seguenti: madre minorenne, famiglia monogenitoriale, basso livello d’istruzione, abuso di alcol o stupefacenti, disoccupazione, violenza familiare e disagio sociale. Molto spesso, però, la causa va ricondotta solo all’esasperazione dei genitori.
Tratto da Nascere Mamma di Mattia Lerner