E il papà restò a casa
di Laura Sciolla Per tradizione, è la mamma ad accudire i figli, soprattutto nei primi mesi di vita. Eppure si sta facendo sempre più strada la volontà di incentivare i papà a scegliere la paternità: una vera esperienza di vita, che permette di entrare realmente a far parte dello spazio emozionale dei propri bimbi, oltre a porre le basi per un nuovo ruolo sociale.MA QUAL È LA SITUAZIONE IN ITALIA OGGI?
Nel Bel Paese il congedo paterno obbligatorio ad oggi è fissato in due giorni lavorativi, interamente retribuiti. Con la
Legge di Bilancio, operativa dal 2018, si prevede l’aggiunta di un’ulteriore giornata ai due giorni facoltativi, per un totale di cinque. L’obiettivo sarebbe quello di arrivare a 15 giornate obbligatorie.
Attualmente, però, i papà italiani paiono non sfruttare la facoltativa al massimo del potenziale: i dati confermano che, nelle regioni a maggiore occupazione pubblica (Sicilia in primis e poi Lazio e Sardegna), il numero dei papà che chiedono di restare a casa con i figli sia elevato (20-25%), mentre in regioni come il Veneto o la Lombardia, dove è prevalente l’impresa privata, la percentuale si assesta attorno all’1,8%.
E IN EUROPA?
Negli stati dell’Unione europea, ad eccezione di Austria e Germania, il congedo di paternità esiste, seppur in maniera
diversificata: 20 giorni per il Portogallo, 30 in Lituania, fino a 54 giorni in Finlandia, il periodo più lungo in Europa.
In alcuni paesi i congedi parentali possono essere divisi tra genitori, ad esempio a Cipro e in Danimarca; in altri
rappresentano un diritto individuale, come in Italia, mentre in Portogallo, Svezia e Norvegia i congedi parentali comprendono due parti, una che può essere utilizzata in modalità condivisa e un’altra da sfruttare individualmente.
È stato però notato che, là dove i congedi parentali possono essere fruiti per una parte dal padre e per una parte dalla madre, l’utilizzo che ne fanno i padri è piuttosto basso. I dati salgono nel momento in cui i congedi vengano presentati come diritto individuale e vengano ben retribuiti. Come ad esempio in Norvegia, dove la retribuzione è quasi del 100%.
