Ipoacusia infantile. Essenziale la diagnosi precoce

Ipoacusia infantile. Essenziale la diagnosi precoce

Ipoacusia infantile. Essenziale la diagnosi precoce

Non è probabilmente tra le prime preoccupazioni dei neogenitori, eppure l’ipoacusia infantile non è rara né tantomeno trascurabile. Nel nostro paese, un bambino su mille viene alla luce con un deficit uditivo più o meno rilevante e ben un caso su quattro è tanto grave da pregiudicare il normale sviluppo cognitivo, psicomotorio e del linguaggio; ogni anno, inoltre, più di 500 neonati sono colpiti da sordità profonda, ovvero la completa incapacità di percepire suoni, un disagio che inibisce in maniera totale la comunicazione verbale, poiché il piccolo, completamente isolato, tende a diventare muto nonostante gola e corde vocali siano in grado di emettere suoni. A ciò si aggiungono abbassamenti e perdite dell’udito durante lo sviluppo, che accrescono le dimensioni del problema e l’importanza di interventi tempestivi e precoci.

LE CAUSE

Nel 20-40% dei casi di sordità congenita (ovvero di bambini sordi alla nascita), non è dato stabilire le cause esatte del disturbo. Talvolta si tratta di una malattia genetica, in altri frangenti di infezioni virali, sofferenza perinatale, prematurità.

Quanto ai deficit uditivi che insorgono in età pediatrica, possiamo distinguere due tipologie.

L’ipoacusia trasmissiva implica danni a livello dell’orecchio medio o esterno. Tra le cause c’è innanzitutto l’otite media acuta, una delle patologie più frequenti nei primi anni di vita del bambino. I sintomi sono dolore, ovattamento e calo dell’udito, febbre, pianto e fuoriuscita di secrezioni dall’orecchio. Si stima che l’85% dei bambini ne soffra almeno una volta durante l’infanzia. In genere è temporanea e curabile, ma i soggetti predisposti, affetti per esempio da rinite allergica, possono essere colpiti da episodi ricorrenti, anche più di quattro all’anno. Altre cause sono l’otite sieromucosa, la cosiddetta otite del nuotatore, molto dolorosa e dovuta al ristagno di acqua nel canale uditivo, alcuni impedimenti fisici, come tappi di cerume o corpi estranei inseriti accidentalmente nell’orecchio, malformazioni cranio-facciali o traumi cranici.

L’ipoacusia neurosensoriale colpisce invece l’orecchio interno, o coclea, e il nervo acustico. Quando non è congenita – dovuta a danni fetali, incidenti al momento del parto o malattie genetiche – può essere conseguenza soprattutto di malattie infettive, come morbillo, parotite o meningite, ma anche di esposizioni eccessive al rumore o di farmaci ototossici. Incurabile e irreversibile, può essere alleviata da apparecchi acustici o impianti cocleari.

L’IMPORTANZA DI UNA DIAGNOSI TEMPESTIVA

La mancanza di reazione agli stimoli sonori, lo sguardo sorpreso o spaventato del bambino, quando vi avvicinate parlando a voce alta ma senza che vi veda,

possono essere sintomi non di banale disattenzione ma di un effettivo deficit uditivo. Riconoscerli precocemente è essenziale: se il bambino non recepisce (o recepisce parzialmente) i messaggi verbali, non potrà formarsi una memoria uditiva e riceverà minori stimoli intellettivi, con conseguenti alterazioni nello sviluppo della sua personalità. Molte ricerche dimostrano che c’è una relazione tra perdita dell’udito – anche transitoria ma frequente – e mancanza di attenzione, deficit del linguaggio e scarso rendimento scolastico.

Per fortuna, oggi esistono metodiche di screening uditivo che permettono d’individuare precocemente le varie tipologie di ipoacusia:

otoemissioni acustiche, effettuabili già alla nascita;

potenziali evocati uditivi (Abr – Auditory brainstem response), per neonati e bambini piccoli;

test di audiometria comportamentale, dopo l’anno di età;

timpanometria o impedenzometria.

Di Duccio Scarpelli | Articolo tratto da Nascere Mamma | Ed. Inverno