Educare al rischio

Educare al rischio
«Stai attento, che ti fai male», «non correre», «vai piano», «non toccare»: con quante prescrizioni cerchiamo di proteggere i nostri figli. Ma siamo davvero sicuri che tanta prudenza sia giustificata, e non talvolta eccessiva o addirittura controproducente? Così sembrano sostenere i pedagogisti, concordi nel ritenere che, per crescere e acquisire competenze progressive, il bambino ha bisogno di confrontarsi con il rischio insito nelle nuove esperienze: un rischio moderato, calcolabile e ragionevole, eppure indispensabile.

INTENSIVE PARENTING

A differenza di quanto avveniva solo alcuni decenni fa, oggi si è affermata una cultura genitoriale che tende all’iperprotezione, frutto di una società che carica madri e padri di responsabilità crescenti, le quali non fanno che aumentare in loro il senso di inadeguatezza e la paura di sbagliare. Nell’epoca dell’intensive parenting (o paranoid parenting), i genitori finiscono così per scegliere la politica della riduzione del rischio a tutti i costi. Ed è il paradosso: nella società del rischio per eccellenza, i bambini hanno meno occasioni che mai di toccarlo con mano e imparare a gestirlo. La prima ragione di quanto sta accadendo va ricercata nell’idea errata che i bambini debbano essere protetti da qualunque rischio, anche minimo, di farsi male. Per arrivare a questo obiettivo, i genitori tendono a limitarne in modo fin troppo drastico la libertà, scegliendo per loro spazi di gioco standardizzati, senza pensare che ciò porta con sé l’impossibilità di mettersi alla prova e la perdita dell’esperienza fisiologica del rischio durante l’infanzia.

LA DIMENSIONE PEDAGOGICA DEL RISCHIO

È opinione degli esperti che l’attuale tendenza all’iperprotezione stia frenando lo sviluppo dei bambini. Per ovviare al problema, dovremmo permettere loro di riscoprire esperienze di gioco che li mettano in contatto con il mondo naturale e che siano in grado di allenare corpo e mente per favorire l’acquisizione di nuove abilità motorie ed emotive. Lasciare che i bambini, giocando, si assumano dei rischi non significa abbandonarli a loro stessi ma operare una scelta genitoriale responsabile: il vero rischio, infatti, è eliminare tutta una serie di stimoli funzionali al loro sviluppo fisico e mentale. D’altra parte, sono i bambini stessi a dircelo: per crescere hanno bisogno di rischiare, perché ciò fa parte del normale processo di apprendimento. Assumendosi dei rischi il bambino sperimenta il divertimento, la scoperta dei limiti, il confronto con gli altri, il senso di responsabilità e di colpa. E poi va considerato il fatto che i bambini sono abili nello stimare le proprie capacità, cosa che li mette al riparo da pericoli che non sono in grado di affrontare. Il bambino correndo può sempre cadere, ma finché non prova a farlo non percepirà mai il piacere della velocità, l’aria che sferza il viso e i capelli. Occorre dunque imparare a dare fiducia ai nostri figli: è questa la base per un corretto percorso di educazione al rischio, in cui l’adulto resti sempre il punto di riferimento. Rimuovendo ogni elemento di pericolo, anche il più lieve, forse garantiamo la sicurezza del bambino nell’immediato, ma non gli insegniamo affatto a cavarsela: a capire che possono sempre presentarsi elementi di difficoltà, nel gioco come nella vita, ma che è anche possibile superarli. Un’azione educativa improntata a un approccio equilibrato al rischio favorirà invece la giusta autostima e autonomia. Tratto da Nascere Mamma | di Sara Lanfranchini