Padri e paternità - Come il tempo ci ha cambiati

Padri e paternità - Come il tempo ci ha cambiati
Mio nonno non ha mai cambiato i pannolini a mio padre, non l'ha messo a letto, non ha nemmeno giocato con lui. Uno dei ricordi padre-figlio più importanti che mio padre conserva (e che mi ha raccontato) è di quando aveva cinque anni e sua madre lo lasciava stare sveglio fino a tardi per guardare un programma in TV; suo padre aveva poi posto il veto e lui era andato a letto piangendo. Ricorda anche che suo padre, di tanto in tanto, gli correva dietro con una cintura (a quei tempi era considerato ancora accettabile).
Papà e bambino Un papà gioca con il bimbo
È evidente come mio padre non abbia avuto un modello valido cui ispirarsi per diventare un padre coinvolto: «Ho dovuto inventarmelo da solo – mi ha confidato di recente – ma penso che sia stato anche un fatto istintivo, nato semplicemente dal mio desiderio di esserti vicino. Provavo amore per te, volevo insegnarti tante cose, sentivo il bisogno di giocare con te». Aggiungendo che, inconsciamente, stava probabilmente rimediando alle carenze sofferte nella sua infanzia. L'idea che l’uomo possieda un istinto genitoriale, e che non sia solo un fornitore di beni e il massimo finanziatore della famiglia, è relativamente nuova. Alla generazione di mio nonno il concetto era praticamente estraneo. Quando sono nata, nel 1986, l’idea che gli uomini dovessero fare di più, partecipando maggiormente alla vita familiare, stava prendendo piede, ma erano ancora considerati semplici sostituti occasionali delle mamme. A riprova di ciò è eclatante come, fino ad appena un decennio prima, gli scienziati che studiavano lo sviluppo precoce dei bambini guardassero esclusivamente alle madri. La metà degli anni '70 è stata infatti il periodo di massimo splendore della teoria dell'attaccamento, radicalmente focalizzata sull'importanza critica dell'attaccamento tra bambino e madre nei primi anni di vita. Ciò è andato di pari passo con il presupposto che proprio questa fosse l'unica relazione primaria in cui i bambini potessero essere coinvolti. A quel tempo, tuttavia, il ricercatore Michael Lamb (diventato poi un precursore della ricerca sulla paternità negli anni '70) e un ristretto numero di altri studiosi stavano arrivando tutti alla stessa conclusione: i bambini possono sviluppare un attaccamento verso i loro papà forte tanto quanto quello verso le loro mamme. L'importanza del contatto fisico tra papà e bambinoI padri diventavano più di un comodo sostegno per le madri. Dopo modesti studi iniziali – esperimenti che dimostrarono che un bambino temporaneamente abbandonato smetteva di piangere non appena suo padre ritornava – i ricercatori alla fine giunsero alla conclusione che i papà attivi potevano avere un impatto positivo netto in ogni aspetto dello sviluppo del bambino. Da quel seme è nata una serie di prove interessanti che affermavano che non solo gli uomini sono fatti per prendersi cura dei bambini, ma che essere un papà coinvolto influisce sulla fisiologia, sulla psicologia e sui risultati dei bambini per il resto della loro vita. Questo impatto positivo è stato associato, per riportare situazioni concrete, a un minor numero di ritardi cognitivi, una migliore preparazione scolastica, una diminuzione dei capricci e del comportamento aggressivo e tassi più bassi di depressione. Insomma, i papà fanno la differenza. Allora perché, quando vediamo un uomo con un bambino in un giorno feriale, ci chiediamo ancora di riflesso dove sia la madre (anche se pensiamo che lui sia così dannatamente carino con quel passeggino)? La verità è che, proprio come le donne hanno sempre avuto tutto quello che serve per essere amministratori delegati, gli uomini hanno sempre avuto il potere di nutrire. Ora che lo stiamo riconoscendo, potrebbe venire presto il giorno in cui l'assunto predefinito per cui è la mamma il genitore principale sembrerà ridicolmente bizzarro, e staremo tutti meglio per questo. Tratto da Nascere Mamma | di Carlotta Cordieri