Il figlio è mio, ma la privacy è sua

Selfie con i bambini
Il tema della tutela dei minori nel mondo della comunicazione non è nuovo. Basti pensare che la nostra Costituzione riconosce tutela ai minorenni all’art. 31, in cui si afferma che la Repubblica Italiana «protegge… l’infanzia e la gioventù favorendo gli istituti necessari a tale scopo»; inoltre, tale salvaguardia è già espressa in senso più ampio nell’art. 2, in cui vengono riconosciuti e garantiti «i diritti inviolabili dell’uomo». Anche i giornalisti, e tutti coloro che lavorano nel settore della comunicazione, sono tenuti a rispettare i principi della Carta di Treviso, firmata il 5 ottobre del 1990 per regolamentare il rapporto tra due diritti/doveri costituzionalmente garantiti: la libertà d’informazione e la protezione dei cittadini al di sotto dei 18 anni. Con l’avvento del web, e soprattutto dei social network, la questione si è allargata: tutti noi possiamo diventare fonte e oggetto di divulgazione di immagini. E quando le immagini si riferiscono ai nostri bambini, pensiamo di poterle utilizzare come il buon senso ci indica. Ma non è esattamente così. Non vi sono vincoli per un genitore nel pubblicare dove crede le foto dei propri figli. E sembra che i genitori ne siano ben consapevoli, dato che, secondo una rilevazione recente, il 90% dei bambini di età inferiore ai due anni ha già una presenza consistente sui socialmedia. Ciò che paiono non sapere, invece, è che queste immagini possono essere salvate e scaricate da chiunque, compresi pedofili che le possono manipolare, utilizzare impropriamente e ripubblicare su altri siti. Secondo una ricerca di Child Rescue Coalition, organizzazione senza scopo di lucro che lavora con le forze dell’ordine per rintracciare, arrestare e perseguire i malintenzionati, i genitori pubblicano in media 1500 foto del proprio bambino prima ancora che abbia compiuto cinque anni. È stato persino coniato un termine, lo ‘sharenting’ (share+parenting), per descrivere quei genitori che sentono il bisogno di condividere quasi ogni passo della vita dei loro figli sui social media, senza, naturalmente, che i bambini possano fornire alcun tipo di consenso o essere parte attiva in quest’attività. Di qui derivano due problematiche: da una parte, i genitori diventano inconsapevolmente una delle prime cause di pericolo per i bambini su Internet. I problemi associati alla condivisione di immagini online, infatti, sono tanto evidenti quanto poco chiari alle famiglie: pedofilia, stalking, rapimento, cyberbullismo. Le associazioni invitano a riflettere sul fatto che certi comportamenti mediali di mamme e papà possono persino facilitare i ‘predator’ nel reperimento delle immagini: quando si aggiungonohashtag come #BathTime,#ToiletTraining, #PottyTraining, #NakedKids (questi i termini più diffusi nel mondo anglosassone), si collega quella specifica foto a un termine ricercabile, anche e soprattutto dai pedofili. Dall’altra parte, i genitori violano la privacy dei figli: il 58% non chiede loro il consenso per la circolazione sul web delle immagini che li ritraggono. Alcuni li ritengono troppo giovani per decidere (e in alcuni casi è fisiologicamente vero), altri che spetti solo all’adulto stabilire come comportarsi. Eppure, iniziano a moltiplicarsi casi giudiziari che fanno riflettere: in Austria, una ragazza diciottenne ha deciso di denunciare i genitori a seguito della pubblicazione su Facebook, senza il suo permesso, di centinaia di foto che la ritraevano bambina in momenti intimi e privati, reclamando con forza il suo diritto alla privacy e all’immagine. Tali problematiche sembrano diventare sempre più diffuse, in Italia e all’estero, anche per l’aumento del numero di separazioni e divorzi. In questi casi, qualora la sentenza del tribunale abbia stabilito l’affidamento condiviso dei figli, è infatti necessario l’accordo di entrambi i genitori per la pubblicazione online delle foto dei minori. Tratto da Nascere Mamma | di Laura Sciolla