Giochi d'imitazione

Giochi d'imitazione
«Facciamo che io sono la mamma e tu la bambina», «Facciamo che io guido il treno e porto tutti al mare», «Facciamo che io sono il dottore e tu l’ammalato»… Sono tanti e a dir poco tipici, durante l’infanzia, i ‘facciamo che’ con cui i bambini danno l’abbrivio ai loro giochi di fantasia, basati su processi innati di imitazione e immedesimazione. Giochi simili – dal prendersi cura delle bambole a cucinare con le pentoline, dalla mini officina alla tenda in cui rifugiarsi, dalla cassa del supermercato alla valigetta del dottore – ripropongono la realtà con cui i bambini entrano in contatto frequentemente, a casa e in altri contesti. La cosa stupefacente è che si inizia a giocare imitando fin da piccolissimi, prendendo a modello le persone più vicine – innanzitutto i genitori – secondo lo stesso meccanismo di osservazione e copia che porta, ad esempio, alla lallazione e poi a pronunciare le prime parole. L’età in cui si sviluppa questa modalità ludica va dai 18 ai 36 mesi; poi, per tantissimi anni il bambino non fa che affinare la tecnica, arricchire gli scenari e riprodurre situazioni nuove e sempre più complesse. Osservando i bambini mentre si dedicano ai giochi d’imitazione si può comprendere molto dell’ambiente familiare e sociale in cui crescono, nonché delle emozioni, delle necessità affettive e dei disagi che vivono. Per il bambino questi giochi sono uno strumento per imparare a comportarsi ‘da grandi’, assumendo ruoli per definizione appannaggio degli adulti, ma anche per esternare malesseri e stati d’animo che il genitore e l’educatore devono rilevare. Il bambino tenderà infatti a replicare certe dinamiche familiari o scolastiche, o al contrario a sopperire a determinate mancanze ribaltando – e quindi copiando al contrario – la realtà.