Autosvezzamento, ma cos'è ?

Autosvezzamento, ma cos'è ?

Autosvezzamento, ma cos'è ?

Negli ultimi anni, di autosvezzamento si sente parlare spesso e non mancano esperti e pubblicazioni che facciano luce sull’argomento. Eppure, permangono scarsa informazione e chiarezza tra le famiglie, per quanto la comunità scientifica abbia da tempo accolto la validità di questa pratica; per questa ragione, al compimento dei 6 mesi del bambino resta diffusa l’abitudine di procedere allo svezzamento seguendo la classica tabella standardizzata. Un tipo di approccio che, secondo il parere dei sostenitori dell’autosvezzamento, trasforma questa delicata fase evolutiva in un processo imposto e regolato dall’esterno, che limita l’iniziativa del bambino, la naturale attrazione verso ciò che mangiano mamma e papà, la voglia di assaggiare e la capacità di scelta.

Di qui, il ‘consiglio sconvolgente’ di alcuni pediatri: «Lasciare che il bambino si svezzi da solo durante i pasti dei genitori, chiedendo e ottenendo piccoli assaggi di tutte le portate», come scrive in un articolo il dottor Lucio Piermarini, pediatra e autore del volume ‘Io mi svezzo da solo! Dialoghi sullo svezzamento’ (Bonomi, 2009), nonché collaboratore di Uppa – Un Pediatra per Amico (www.uppa.it), bimestrale per genitori a cura di pediatri e specialisti dell’infanzia.

COSA SI INTENDE ESATTAMENTE PER AUTOSVEZZAMENTO?

Il termine autosvezzamento è la traduzione semplificata e imprecisa – per quanto efficace – di un’espressione sicuramente più pertinente: alimentazione complementare a richiesta, ovvero un approccio – fondato su basi strettamente scientifiche – secondo cui l’introduzione di alimenti solidi nella dieta del bambino avviene non a partire da una tabella ma in ragione delle sue specifiche e variabili richieste, fermo restando il buon senso dei genitori nell’offrire esclusivamente alimenti sani. Ma come deve avvenire un simile passaggio? Per i sostenitori dell’alimentazione complementare a richiesta, questo cambiamento dev’essere un evento spontaneo per il bambino, frutto dell’estensione della sua sfera di interessi al di là del semplice succhiare e della sua nuova capacità di autoregolarsi. Si tratta – e così è stata definita in più occasioni – di una vera rivoluzione: per la prima volta al centro del processo c’è il bambino, il quale, proprio come nell’allattamento al seno a richiesta – che è ormai pratica consolidata proprio perché dà i migliori risultati – guida i genitori ed esprime autonomamente curiosità, desideri e necessità alimentari.

LA PREMESSA

Secondo Lucio Piermarini e gli specialisti di Uppa, le basi di partenza per scegliere per il proprio figlio l’alimentazione complementare a richiesta sono la qualità della relazione tra genitori e bambino – compresa una maggior attenzione ai suoi comportamenti – e la correlata preparazione al tema: «L’alimentazione complementare a richiesta va intesa come il punto di arrivo di un percorso di formazione che coinvolge tanto la famiglia quanto il pediatra». Per questo è assai poco efficace parlarne per la prima volta a un genitore quando ormai il figlio è prossimo ai 6 mesi: «Ci vuole una preparazione adeguata che deve iniziare molto prima; la questione andrebbe affrontata già durante i corsi di accompagnamento alla nascita, offrendo basi scientifiche perché i genitori possano capire a poco a poco di che si tratta». Corsi in cui chiarire come funziona nella pratica, scoprire quali sono i vantaggi e fugare le preoccupazioni più comuni per il tema dell' autosvezzamento.

SEI PRONTO AD AUTOSVEZZARTI?

Fino ai 6 mesi il latte, meglio se materno, assicura al bambino tutte le sostanze nutritive di cui ha bisogno. In seguito, secondo quanto prevedono le linee guida dell’Oms, è opportuno iniziare a integrare la dieta del lattante con i primi cibi solidi, poiché il solo latte non è più sufficiente. In genere, è proprio in questa fase – settimana più, settimana meno – che il bambino mostra i primi segnali di interesse verso ciò che avviene a tavola, quindi verso l’atto del mangiare e il cibo in sé, ma ancor prima verso i comportamenti dei genitori.

«I cenni del bambino sono piuttosto tipici e una mamma informata li riconosce, esattamente come avviene con l’allattamento al seno – continua il dottor Piermarini – inizia a punt are il dito verso ciò che vede sul tavolo e osserva con insistenza ciò che fanno mamma e papà. Da principio, infatti, il suo interesse sono i genitori, non il cibo, che non conosce ancora, e il bambino cerca di emularli in tutto anche a tavola. Esistono poi alcune competenze specifiche che deve aver raggiunto: abilità motoria sufficiente per stare seduto da solo, protendersi in avanti e portare la mano alla bocca; capacità di masticare e deglutire per ingerire senza rischi; maturità intellettiva e curiosità verso l’ambiente circostante». Il presupposto è che il bimbo sia già abituato a stare a tavola con mamma e papà, perché il pranzo è un momento di condivisione importante per la famiglia. Succede così che, a poco a poco, i suoi interessi mutino e il piccolo chieda i primi assaggi, per scoprire presto che ciò che ottiene gli offre lo stesso tipo di appagamento assicurato finora dal latte. «Ogni bambino sano acquisisce naturalmente tutte queste competenze, ma in maniera e con tempi variabili. Magari è molto curioso e domanda, ma sputa quando la mamma gli offre un assaggio, non sa ancora masticare; allora si aspettano alcune settimane e si riprova». Presto sarà pronto sotto tutti i punti di vista.

I VANTAGGI

Il primo vantaggio dell' autosvezzamento riguarda la salute di tutta la famiglia: chi sceglie l’alimentazione complementare a richiesta sa che il bebè si avvicinerà al cibo attraverso ciò che mangiano mamma e papà, dunque la famiglia avrà modificato/migliorato per tempo la sua dieta per renderla più equilibrata e valida anche per il piccolo. Il secondo vantaggio deriva direttamente dai presupposti basilari dell’alimentazione complementare a richiesta, ovvero dal fatto che «il bambino può gestirsi da solo e che il suo appetito, in quanto istinto primario, è sempre sufficiente», come spiega ancora Piermarini.

«Di qui la possibilità per i genitori di smettere una delle loro preoccupazioni più diffuse, cioè che il figlio sia inappetente e non si nutra abbastanza, e di diventare più resistenti alla tentazione di offrirgli quasi qualunque cosa purché mangi (oggi, al contrario, la principale preoccupazione dovrebbe essere che il bambino si alimenti troppo, eccedendo ad esempio nel consumo di dolci e grassi, ndr). Ricevendo la fiducia dei genitori a tavola, il bambino acquista maggiore serenità nel suo rapporto con il cibo, una serenità che si diffonde a tutti gli altri ambiti». A trarre giovamento è anche la relazione affettiva e pedagogica con i genitori, l’attenuarsi dei conflitti durante i pasti, il risparmio di tempo e denaro per la preparazione degli stessi, senza contare l’effetto preventivo sul problema dell’obesità, sebbene non siano stati ancora condotti studi sufficientemente esaustivi in questo campo, almeno in Italia. Infine, niente rischi di sviluppare allergie: «Studi scientifici hanno smentito da tempo l’utilità di ritardare l’introduzione di certi alimenti, come invece suggeriscono alcune tabelle dello svezzamento; al contrario, è stato dimostrato che l’introduzione precoce (ma in media sempre dopo i 6 mesi) aiuta a sviluppare maggiore tolleranza. A quest’età, il rischio di allergie è in genere assente».

Di Sara Lanfranchini ( tratto da Nascere Mamma | Inverno 2017)